Ventagli #167 — Il ciclismo ha un problema con gli sponsor

Gabriele Gianuzzi
LoggioneSport
Published in
4 min readMar 2, 2022

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Il ciclismo ha un problema con gli sponsor. O meglio, più di uno.
Il primo, lampante anche ai meno ferrati sul tema, è che banalmente non li trova.
Il secondo, o i secondi se preferite, è che i pochi che trova o durano poco o hanno dei fini quantomeno discutibili.

Ma andiamo per gradi.
Gli sponsor, da sempre, sono una parte fondamentale del ciclismo professionistico e rappresentano una delle maggiori entrate di squadre e gare, garantendone di fatto la sopravvivenza.

Ma perché una azienda o una persona, non collegata direttamente al mondo a due ruote (es: bici, materiale tecnico ecc.) dovrebbe investire nel ciclismo?
I motivi, come spesso accade nel mondo del marketing, possono essere i più disparati, dai lanci di nuovi prodotti, alla passione del proprietario o dirigente di turno verso lo sport, alle amicizie e/o relazioni personali tra le aziende e alcune persone delle squadre.
Di fondo, però tutti i motivi sono accomunati da alcuni criteri: una buona visibilità a livello internazionale, prezzi accessibili rispetto ad altri sport e la voglia di associarsi ai valori del ciclismo (sacrificio, non mollare mai, libertà). Negli ultimi anni a farla da padrone c’è ovviamente anche l’idea di associare la propria immagine a uno sport “ambientalista”. La bici, i paesaggi infiniti delle montagne di mezzo mondo, la mobilità sostenibile.

La condivisione di valori è uno step imprescindibile in un qualsiasi contratto di sponsorizzazione e infatti non è un caso che la maggior parte degli sponsor presenti negli anni ’90 oggi non ci siano più. Il ciclismo di quegli anni ha tradito quei valori. Ha tradito soprattutto sé stesso e i suoi sponsor, sotto forma di doping.

Nessuno vorrebbe associare il proprio nome a pratiche scorrette.

E questo credo che sia un punto fondamentale. Dopo la grande fuga dei marchi dal mondo del ciclismo, lo sport si è ritrovato estremamente fragile e impossibilitato a scegliere a quali marchi/aziende/entità associarsi perché non aveva molta scelta, se non la morte.

Approfittando di questo ribaltamento sono entrati nel mondo del ciclismo salvatori opachi, che in gran parte resistono ancora oggi.

Solo a livello World Tour, il massimo livello del ciclismo internazionale sono presenti:
- 3 Stati collegati a vari livelli a violazioni di diritti umani;
- un colosso petrolchimico che sponsorizza un neonato fuoristrada;
- 2 lotterie nazionali

Un terzo degli sponsor principali delle squadre maggiori di ciclismo a livello professionistico, sono francamente impresentabili.
E questo senza considerare ad esempio una dittatura sotto scacco da rivolte di piazza, una azienda che produce droni da combattimento nelle categorie inferiori e una azienda parzialmente controllata da uno Stato che ha deciso unilateralmente di invadere e portare la guerra in una nazione confinante.

A livello di gare la cosa non è migliore, anzi. Molte corse sono finanziate direttamente da Stati il cui unico intento è propagandistico.
Nell’ultimo mese il calendario proponeva due gare in Stati direttamente coinvolti da violazioni dei diritti umani e sarebbe un record difficilmente eguagliabile se non fosse che il ciclismo trova sempre un modo. Si è corsa una gara in un Paese sotto dittatura, dove non esistono mezzi di informazione indipendenti, dove il Presidente spende milioni di dollari all’anno in sponsorizzazioni sportive nonostante il Paese sia uno dei più poveri al mondo e ciliegina sulla torta, lo sponsor principale della corsa è il brand di una azienda multinazionale che da anni sfrutta il continente in maniera spudorata e che alcune inchieste giornalistiche collegano in maniera diretta alla guerra civile e al successivo genocidio accaduto nel Paese 28 anni fa.

La cosa interessante dal punto di vista di marketing è che nel mondo del ciclismo sembra essersi creato l’ecosistema perfetto per ripulire la propria immagine a livello internazionale, a un prezzo accessibile.
Non solo, si può passare anche come “salvatori” dello sport.

Questo cortocircuito che mescola “green washing” e “sport washing” penso che potrebbe essere tranquillamente chiamato “bike washing”.
E sembra funzionare a meraviglia.

Quello che mi chiedo è: perché le federazioni sportive nazionali e internazionali non chiedono conto di nulla?
Perché gli altri sponsor presenti a fianco degli impresentabili non chiedono conto di nulla?

“Nessuno vorrebbe associare il proprio nome a pratiche scorrette.”

L’assunto alla base di ogni sponsorizzazione degna di questo nome non sembra avere nessuna valenza nel mondo del ciclismo. E non riesco a comprenderne il perché.
È solo incapacità di trovare fondi da fonti affidabili e con business non opachi?
È menefreghismo? Per la serie “Franza o Spagna purché se magna”?
È ignoranza?

Insomma la domanda che ci poniamo e che vi poniamo è: il ciclismo è vittima o complice?

Speriamo che qualcuno riesca a darci una risposta.
Perché la misura è colma.

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Scrivo di ciclismo su Ventagli e l'UltimoUomo. Amo le bici, le birre belghe, i salumi e i bianchi frizzanti ghiacciati in egual misura.