Ventagli #178 — Manifesto di una nuova estetica

Una conversazione sul senso del ciclismo con il collettivo 4KHD

Umberto Preite Martinez
LoggioneSport

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Stamattina mi sono imbattuto in un post su Facebook di Mario Cipollini in cui mostrava la sua gamba, nuda, muscolosa, iperdefinita, con le vene che paiono muoversi come serpenti sotto la pelle. La foto era accompagnata da una frase ironica sull’invecchiamento, come a voler sottolineare che il tempo che passa non ha effetto su quelle gambe, su di lui, sul suo corpo.

È stata una cosa imprevista — io non seguo Cipollini sui social e me ne guardo bene — eppure in qualche modo azzeccata. Come se l’algoritmo di Facebook — questa mano che guida il nostro scrollare in basso nella home, che ci osserva e sceglie per noi le cose migliori da vedere, quelle che ci possono interessare di più in base alle nostre preferenze — avesse scelto di mostrarmi quel post per dirmi qualcosa. Non so bene cosa, di preciso, forse che esiste un uomo, da qualche parte, con delle gambe grandi quanto me. Forse che esistono uomini iperpompati, palestrati, cinquantenni, bianchi, etero, ricchi. E Facebook fra tutti questi personaggi ha scelto di mostrarmi proprio lui, Mario Cipollini, un ex ciclista professionista, oggi ciclista amatoriale. Pompato come non mai, sempre abbronzato. Quello che da giovane era soprannominato il Re Leone e che oggi — nella mia bolla social — è il King dei Chad.

Chadpollini, come è stato ribattezzato nella mia bolla, è tutto ciò che io non sarò mai, o forse sarò solo in parte: non sarò mai un palestrato iperpompato, non sarò mai così curato, sempre abbronzato, forse neanche ricco, però probabilmente sono etero e in fin dei conti mi posso considerare bianco. Sarò un cinquantenne, questo sì, e spero per allora di avere ancora due gambe.

E allora perché l’algoritmo di Facebook — che mi conosce e mi osserva da quasi quindici anni, ha visto tutti i miei like, ha letto tutti i miei commenti, i miei post, ha visto le mie foto, spiato le persone di cui guardavo di nascosto il profilo per farmi gli affari loro — ha pensato che potesse interessarmi l’ultimo post di Cipollini, il King dei Chad, in cui mette in mostra tutto il machismo che lo contraddistingue?

La risposta che mi sono dato è tutta in questo pezzo qui, o almeno nella sua idea di base. E cioè che pochi giorni fa ho incontrato in una videochiamata su Google Meet tre ragazzi del collettivo che sui social potete trovare sotto il nome di 4KHD. Chi siano forse non sarà chiaro nemmeno dopo aver letto quest’articolo per intero, ma sicuramente non vi sarà per nulla chiaro se — come me — deciderete di buttare un po’ del vostro tempo a guardare i loro post su Instagram, né se vi fate un giro su Twitter dove la questione è ancora più criptica.

La prima cosa che mi sento di dire per descriverli è in realtà una frase che mi ha detto Matteo, uno dei tre membri del gruppo che ho incontrato, e che fa capire un po’ il senso di tutto questo: «un collettivo dove tanta gente fa cose». Più nello specifico sono un gruppo di amici che fa viaggi in bicicletta e che racconta quei viaggi in modo del tutto particolare. Usano questo contenitore per sperimentare e portare avanti progetti sempre diversi, ognuno con le sue passioni e il suo percorso particolare: «ognuno porta sempre dentro un input in più, un punto di vista diverso che ci aiuta a sperimentare. Ci piace fare qualcosa che sia attinente alle nostre passioni e tutto questo viene applicato alla bici».

La mappa del Summer Tour 2k21 firmata da tutte le persone incontrate durante il viaggio.

In parole più semplici, 4KHD è un collettivo di gente a cui piace andare in bici, ma «non per far vedere quanto siamo bravi, ma per vedere tutto quello che c’è attorno, per cercare di applicarci qualcos’altro sopra. 4KHD è un modo per dare un frame alle cose che facciamo, alle nostre uscite in bici». Nel nome si intravede già una parte del loro manifesto, ma solo nel momento in cui mi spiegano da dove nasce. Da un viaggio in bici, ovviamente, che non è mai stato realizzato ma che in un certo senso esiste visto che ha dato il nome al gruppo. «È un nome nato a caso, inizialmente. Dovevamo fare un viaggio da Vienna a Belgrado che non è mai stato fatto per colpa del covid e noi siamo tutta gente che lavora con le foto, la grafica, i video; insomma siamo abituati ad avere sempre tutto in alta definizione. Però noi siamo anche ciclisti abbastanza scarsi» e da lì la contrapposizione fra la qualità del prodotto e la qualità delle loro performance sportive. “High resolution, low performances” è la descrizione nella bio di Instagram.

Il nuovo logo del collettivo.

«Ci piaceva questo lato dello sport, di rappresentarlo e dire che hai fatto le cose, e un po’ lo scimmiottiamo. 4KHD è una risoluzione non ancora presente nel mercato ma noi l’abbiamo già provata nei nostri viaggi ed è una figata». Non so bene cosa significhi questa cosa ma mi sono fatto una mia idea sul senso del mondo in questa risoluzione, che poi è il mondo visto attraverso gli occhi di un gruppo di cicloamatori con la passione per la grafica, i meme, la programmazione e altre cose che si mischiano tutte insieme nel nome del ciclismo — certo — ma soprattutto del cazzeggio.

4KHD è in fondo un esperimento, o una serie di esperimenti portati avanti dai suoi componenti. Forse sarebbe meglio dire che è uno spazio. «Noi utilizziamo questo progetto come laboratorio attivo: se a me viene un’idea la propongo e ci si aiuta tutti insieme. Il bello è sperimentare in libertà totale».

Bot

La prima volta che Francesco, uno dei fondatori del gruppo, mi ha contattato su Twitter ho pensato che il progetto fosse solo la parte che vedevo su quel social: un bot che tira fuori immagini a caso da dirette televisive di corse del passato, o statistiche anch’esse casuali. Soltanto parlandoci direttamente ho capito il mondo che c’era dietro e ho cercato di farmi spiegare meglio questa cosa: «Finora non abbiamo mai avuto la necessità di definirla. Abbiamo aperto un profilo Instagram e uno Twitter e abbiamo cominciato a caricarci roba. Adesso siamo un collettivo dove tanta gente fa cose, ma non abbiamo una linea editoriale chiara. Cerchiamo di comunicare tanto fra di noi e abbiamo una conversazione sempre aperta su “cos’è per noi questa cosa” e anche su “cos’è per noi andare in bici”», e 4KHD nasce proprio da una «sorta di repulsione verso un certo tipo di ciclismo molto professionale, anche nell’amatoriale. Però poi allo stesso tempo ci sono alcuni di noi che sono esattamente quella cosa lì», e allora «quello che cerchiamo di fare è creare dei contenuti che non siano classici del ciclismo, che si veda che non siamo degli insider: ci piace andare in bici e finisce lì».

È un’estetica, quella di 4KHD che è fortemente influenzata appunto dall’estetica meme, se così possiamo definirla. Non dei meme buongiornisti, ovviamente, ma quelli che per intenderci possiamo chiamare dank. Un’estetica quindi magari che tende al brutto, alla storpiatura, alla crudità dell’immagine e al prendere per i fondelli una determinata narrazione del cicloturismo e del ciclismo amatoriale. Ma non solo: anche del ciclismo in sé, come sport professionistico e ovviamente della narrazione che c’è attorno al ciclismo.

«Il ciclismo — mi dice Matteo mentre io mi distraggo a guardare un loro video su Instagram di un telefono usato come frisbee — è uno di quegli sport che ti distruggono un pomeriggio, nel senso che se lo guardi e ci tieni finisci per guardare 6 ore di diretta. E quindi è uno sport controproducente in un mondo in cui abbiamo bisogno di vedere gli highlights in pochi minuti Penso al calcio dove ormai ci interessano solo quelle poche immagini dei gol», e in quest’ottica il bot di Twitter che pesca immagini randomiche di corse del passato va proprio incontro a questa necessità di immediatezza ma la distrugge tirando fuori dei frame inutili, totalmente casuali, a volte sfocati e incomprensibili, «anche cose che non hanno nessun motivo di essere salvate».

«Quando facciamo i video dei nostri viaggi, questo stile è simile. Non mettiamo il solito video in 4k del ciclista che suda con le gocce di sudore iper definite. Mettiamo cose un po’ distrutte, rotte». I loro video sono infatti fatti da brevi clip, montate come fossero una piccola puntata di Blob, a ricostruire un viaggio di cui si percepiscono solo i contorni, qualche dettaglio. Ma che sfugge via nella sua interezza, a volte perché inquadrato troppo da lontano, altre volte troppo da vicino.

«Su Twitter si vede l’esistenza di questo gruppo online, cosa facciamo quando non andiamo in bici, che è analizzare e cercare di capire come si potrebbe trasformare il mondo della bici in un’altra roba. Su Instagram invece viene fuori il nostro mondo offline, che è quello che siamo quando andiamo in bici. Più related a noi, a come siamo realmente».

Quello che colpisce, nel bot che pesca immagini casuali su Twitter, è la totale rottura con l’estetica classica del ciclismo, con la ricerca della perfezione stilistica sia nelle fotografie che negli articoli scritti. La ricerca, direi, di un’epicità da trovare in ogni aspetto possibile, attraverso lo scatto perfetto al momento giusto, la foto iconica; oppure — e mi ci metto anch’io — il racconto malinconico o eroico delle corse ciclistiche.

L’immagine casuale spezza il ritmo di questa narrativa, la rende superflua, un castello di carte che crolla all’improvviso di fronte al fermoimmagine sfocato di un branco di mucche durante una tappa del Tour. In un’epoca, insomma, in cui sembra che sia assolutamente necessario essere pomposi ed epici quando si parla di ciclismo, fare un’operazione del genere è puro dadaismo. Ma ha anche un aspetto quasi didattico perché trasmette «l’idea di non avere un approccio unico al ciclismo, andando a cercare con un bot autonomo contenuti nuovi e sempre diversi, nonostante il concetto sia ripetitivo. È un bot incredibilmente intelligente che ha sempre tirato fuori le cose giuste al momento giusto. Crediamo che sia un’entità spirituale».

Una delle magliette con le immagini generate automaticamente dal bot di 4KHD presente su Twitter.

Igor Colombo

L’ultimo progetto lanciato dal collettivo 4KHD ha come protagonista un ciclista che «è un chad che non vuole essere un chad, e alla fine è l’anti-chad». Si tratta di un viaggio in bici infinito autogenerato, a tappe giornaliere.

«Durante la pandemia — mi racconta Francesco — mi è venuto in mente di fare un bot. Ho provato con le statistiche, poi con le immagini ed è uscito bene. Nel frattempo Matteo stava sperimentando su mappe, dati geografici e via dicendo, e quindi abbiamo pensato di provare a fare qualcosa relativo a questo, visto che noi viviamo di mappe. E quindi è nato così: volevo fare un’implementazione ulteriore del bot. L’idea di un viaggio infinito inizialmente doveva essere solo un avatar virtuale, senza un’immagine, solo una stampa di statistiche e un viaggio così». Poi, però, succede che il gruppo si attiva, le idee si mischiano, e così «c’è un nostro amico che è entrato nel gruppo di 4KHD anche se non l’abbiamo mai visto in bici che fa roba di design e render e per passione aveva iniziato a fare render di personaggi. L’abbiamo tirato in mezzo e abbiamo deciso di dare un’immagine a questo avatar virtuale».

Una delle prime foto di Igor pubblicate sui social.

Un progetto che aleggia nell’aria da un anno, che ha preso forma piano piano, attraverso incontri e serate in cui «abbiamo cominciato a dargli un po’ di sentimento», un nome «generato anche quello casualmente da un generatore di nomi»: così è nato Igor Colombo.

Nomen omen, Igor Colombo ha nel suo nome quello di un altro celebre viaggiatore, esploratore, capace di immaginare una rotta alternativa per raggiungere le Indie dall’altra parte dello sconfinato oceano. Come Cristoforo, anche Igor Colombo è partito per un viaggio inconcepibile dalla mente umana dei suoi contemporanei, che poi siamo noi che ne seguiamo il viaggio sui social network, aspettando ogni giorno di vedere il percorso fatto e magari una foto, un ricordo, una dedica. Sperando che un giorno anche Igor possa scoprire la sua America.

Per il momento, però, Igor Colombo è partito per il suo viaggio. Poi ci potranno essere altri sviluppi del progetto, sempre a partire da questo viaggio che è «una continua narrazione». «Magari ci incontreremo, un giorno — mi dice Cesare quasi come se parlasse di una persona reale — e facciamo una tappa con lui».

Igor Colombo sul Passo del Bernina

Quasi come se, ma in effetti questa separazione fra l’immaginazione e la realtà, fra il bot e l’essere umano, in fondo non è così netta e definita come potrebbe essere logico pensare. «Stiamo provando a valicare nella realtà, abbiamo un po’ aggirato il sistema del rilevamento GPS e abbiamo postato le tracce di Igor su Komoot. Quindi anche lì è una cosa virtuale che diventa una cosa super reale», perché adesso esiste un qualcuno dentro Komoot che sta facendo quel viaggio lì, e per Komoot quel qualcuno esiste davvero, così come per tutti gli utenti di Komoot che si imbatteranno in questo strano personaggio che è partito da Legnano e chissà dove arriverà.

Igor quindi è a tutti gli effetti parte della realtà e non di una specie di realtà virtuale alla Matrix, ma proprio della nostra realtà; quella in cui viviamo tutti i giorni della nostra vita, in cui siamo immersi. Nel momento stesso in cui è stato creato ha iniziato a esistere, e da giorni pubblica sue foto sui social come tutti noi, scrive post, pubblica i suoi percorsi sulle piattaforme per cicloamatori come Komoot.

In un mondo in cui la realtà e indissolubilmente legata a quello che avviene sui social e su internet, Igor Colombo non può che essere reale tanto quanto ciascuno di noi che ogni giorno accettiamo di vivere in questa specie di metaverso che in fin dei conti è molto più banalmente il nostro modo contemporaneo di vivere le nostre rispettive esistenze. L’uomo esiste in relazione agli altri uomini, e Igor Colombo in questa relazione è presente e non è che un altro nodo nella nostra rete sociale.

Igor Colombo ha anche un suo personale slogan, anche questo mutuato dalla realtà — stavolta concreta — di un paio di pantaloni che portavano la scritta “Chi non vola è un vile”, diventata immediatamente la frase simbolo di un progetto che ha come ambizione quello di distruggere la convenzione estetica e ideologica del ciclismo amatoriale come esaltazione di sé stessi alle prese con difficoltà sempre maggiori, la chadness nel superare le avversità, il machismo tossico delle foto delle gambe muscolose che spingono rapporti assurdi in giro per i passi di montagna. “Chi non vola è un vile” è ovviamente una frase che presa in maniera totalmente ironica va a destrutturare tutta questa narrazione. È, se vogliamo, il manifesto del collettivo 4KHD.

La lettera-manifesto di Igor Colombo.

Quello che loro non sanno è che in fin dei conti si potrebbero definire un collettivo artistico. Non tanto per la bellezza delle cose — l’arte non è bellezza, non lo è mai stata — quanto per l’idea estetica che c’è alle spalle dei progetti che portano avanti oltre che alla base del collettivo stesso. Di estetica sono loro i primi a parlare, consapevoli del fatto che in quello che fanno c’è ben definita un’estetica che rompe con il tradizionale e si inserisce perfettamente nel viaggio della nostra società verso la costruzione di nuovi paradigmi su cui basare la propria esistenza.

Se, dunque, il viaggio di Igor Colombo è la scusa per distruggere un certo tipo di ideale estetico per costruirne uno nuovo, i viaggi reali del collettivo sono invece una scusa per sperimentare, stare insieme, viaggiare, perché «senza il viaggio tutto quel pedalare non ha senso». Consapevoli, sempre, che «alla fine è tutto fatto per divertirsi ed è il motivo per cui funziona».

Ventagli è un progetto sull’attualità del mondo ciclistico in collaborazione con Loggione Sport. Ha una pagina twitter dove potete trovare commenti e opinioni giornaliere ed una pagina instagram per indagare la bellezza di questo sport attraverso le immagini.

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Scrittore disorientato. Ho due grandi passioni: il ciclismo e la Fiorentina.