Ventagli #122 — Io, Ivan Basso, il Giro 2005

Umberto Preite Martinez
LoggioneSport
Published in
7 min readDec 8, 2020

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(Photo credit: Chris Graythen/Getty Images)

Quando ero piccolo giocavo con gli stuzzicadenti. Li coloravo con i colori delle squadre, vere o finte che fossero, e poi li facevo gareggiare sulle mattonelle di casa. Il percorso era delimitato da matite, penne o pennarelli, messi a terra ai bordi delle mattonelle o a tagliarle in due in caso di bruschi restringimenti della strada. I ciclisti-stuzzicadenti si muovevano uno alla volta, posizionando uno o due dita — solitamente l’indice e il medio — sopra allo stuzzicadenti e poi dando una piccola spinta in avanti. Ovviamente lo stuzzicadenti doveva andare dritto, senza rotolare o ruotare su sé stesso (d’altronde avete mai visto un ciclista andare in testacoda?), ma poteva in qualche modo seguire la scia di chi gli stava davanti anche se eviterei di scendere in inutili tecnicismi.

Le volate si facevano spiaccicando la mano aperta sopra al gruppone degli stuzzicadenti e lanciandoli tutti insieme verso il traguardo. Nelle tappe di montagna o nelle cronometro, invece, i distacchi erano presi “a tocchi”, contando cioè quante piccole spintine con le dita (i “tocchi”, appunto) ci mettevano i battuti a raggiungere il traguardo dopo il vincitore.

Era un gioco semplice, la cosa più complessa era proprio colorare gli stuzzicadenti e far sì che all’interno delle squadre ogni ciclista fosse distinguibile dagli altri per un piccolo dettaglio, un minuscolo segno di riconoscimento. E poi, ça va sans dire, il difficile era proprio ricordarsi di quei segni distintivi e distinguere di volta in volta i vari contendenti.

Ecco, in questo gioco il distacco erano semplicemente i “tocchi” che uno stuzzicadenti ci metteva più di un altro per completare il percorso. Non c’erano crolli improvvisi, giornate storte, crisi di fame, problemi fisici. Nella mia piccola fantasia di bambino era possibile, certo, essere sconfitti o arrivare secondi. Quello che non era prevedibile era la difficoltà imprevista e, di conseguenza, il fallimento. La crisi di Ivan Basso sullo Stelvio al Giro del 2005 fu la prima volta in cui mi scontrai con la realtà.

Estate 2004

Nell’estate del 2004 tornai a seguire il ciclismo reale. Probabilmente spinto dal fatto che in quell’estate elbana non avevo molto da fare e spesso il pomeriggio era solo un lungo e noioso intermezzo fra il pranzo e la cena. Era luglio, si correva il Tour de France e un giovane italiano stava dando filo da torcere a Lance Armstrong — o almeno così dicevano nelle pagine sportive del Tirreno. Decisi di occupare i miei pomeriggi dedicandomi a quello, mentre i miei nonni dormivano: guardare Ivan Basso al Tour de France. Ne rimasi folgorato, mi innamorai di quello sport insensato, della gente a bordo strada, della sofferenza. Iniziai ad apprezzare la noia, quella noia bella che ti prende durante una passeggiata in montagna. Era una noia con uno scopo e per questo più piacevole della solita noia che accompagnava quei pomeriggi estivi.

Basso e Armstrong sul Tourmalet. Foto da Wikipedia.

Di lì a poche settimane Paolo Bettini vinse l’oro olimpico ad Atene costringendo Il Tirreno a schiaffarlo in prima pagina come fosse la rielezione del sindaco di Piombino. Venni a conoscenza così anche dell’esistenza della California, un paesino sulla costa fra San Vincenzo e Livorno all’altezza di Cecina, anticipando di un paio d’anni le battute di mio nonno che affacciandosi dal terrazzo mi diceva “guarda bello, si vede anche la California da qui”.

Comunque, mi appassionai al ciclismo così e la stagione 2005 fu per me il vero battesimo del fuoco. Guardavo qualsiasi gara venisse trasmessa in televisione, mi segnavo i nomi dei ciclisti che non conoscevo e cercavo di farmi una mia idea su di loro, sulle strategie, sulle corse. Soprattutto, aspettavo di vedere Ivan Basso all’opera al Giro d’Italia 2005. Al via c’era Damiano Cunego, la grande promessa del ciclismo italiano, capace di vincere il Giro 2004 fra lo stupore generale e beffando il suo capitano, l’esperto Gilberto Simoni. E poi c’erano tutti gli altri, da Paolo Savoldelli, il Falco bergamasco, a Danilo Di Luca, che già avevo imparato a conoscere durante le classiche di aprile, che correva con la maglia bianca del leader della classifica ProTour (che all’epoca non avevo idea di cosa fosse e anche oggi sinceramente me ne sfugge il senso).

Tutto va come deve andare: Basso parte bene, è evidentemente il più forte in gruppo. Savoldelli è l’unico che può davvero impensierirlo ma quello che recupera in discesa non sembra poter bastare a compensare quel che perde in salita. Ci sono un sacco di sudamericani scatenati, piccoli scalatori fenomenali che volano letteralmente sulle grandi salite del Giro. C’è Paolo Bettini che va a caccia di tappe e le vince anche. Cunego invece naufraga ben presto fuori classifica a causa della mononucleosi.

La maglia rosa passa sulle spalle di Ivan Basso al termine del primo vero tappone di montagna: 150 chilometri da Marostica a Zoldo Alto, su e giù per le Dolomiti. Basso attacca sul passo Duran e stacca tutti, Savoldelli lo raggiunge e si avvantaggia in discesa per poter restare con lui sull’ascesa finale. Cunego naufraga, Simoni e Di Luca tengono botta ma perdono terreno ed è già chiaro a tutti che quella zampata di Ivan Basso sulle Dolomiti è solo il preludio a una terza settimana di assoluto dominio.

Sconfitta

Il sogno di Ivan Basso — e di un ragazzino che faceva sega a scuola per veder correre il suo beniamino — dura appena 48 ore. Due tappe dopo, durante la Mezzocorona-Ortisei, Savoldelli attacca e Basso cede di schianto. Si vede che non sta bene, glielo si legge in faccia, negli occhi spenti del campione abbattuto. Nella mia testa di ragazzino ingenuo ho ancora fiducia: sarà una difficoltà passeggera — dico a me stesso -, ma Basso domani li distrugge tutti, uno dopo l’altro.

E invece il giorno dopo Ivan Basso si scioglie definitivamente lungo i tornanti dello Stelvio. Metro dopo metro la sua pedalata si fa sempre più pesante, i secondi dalla maglia rosa aumentano fino a trasformarsi in minuti e poi in decine di minuti. Basso non si limita a perdere qualche “tocco” dai suoi avversari ma affonda piano piano, con i suoi compagni a scortarlo. Durante la scalata dello Stelvio, Bjarne Riis dall’ammiraglia CSC si affianca a Basso e gli chiede di ritirarsi per preparare il Tour, ché ormai il Giro è perduto. Ma Basso non ne vuole sapere.

A volte si dice che i campioni gareggiano per regalare emozioni ai tifosi. Spesso è una frase piena di retorica e priva di alcun fondamento reale. I campioni gareggiano per vincere, inutile prendersi in giro. Eppure quel giorno, mentre Basso arrancava in preda a dolori gastrointestinali (che i tifosi di Simoni da lì in poi chiameranno “lo squaraus di Basso”), al suo rifiuto quando Riis gli chiedeva di fermarsi, ecco, in quel momento lì, da qualche parte in una casa a centinaia di chilometri di distanza, un ragazzino si è innamorato perdutamente di quel campione che non sta più correndo per vincere ma solo per non deludere chi ha creduto in lui, chi lo sta aiutando a superare quel momento e a scalare quel mostro — lo Stelvio — e i mostri che si porta dentro. E un po’, forse, o almeno mi piace pensare che sia così, per quei tanti piccoli ragazzini che hanno saltato la scuola per guardarlo e che sperano, in cuor loro, che il loro eroe risorga dalle sue ceneri per tornare a farli sognare e dare un senso a tutta quella sofferenza.

(Photo credit: Tim De Waele/Getty Images)

Palingenesi

Quattro giorni più tardi, dopo un giorno di riposo e un paio di tappe più rilassate in cui Basso approfittò per recuperare dal problema gastrointestinale che l’aveva costretto a un lungo calvario sullo Stelvio, mentre il Giro d’Italia avanzava con un sentito duello fra Savoldelli e Gilberto Simoni, Ivan Basso tornò a risplendere vincendo due tappe di fila: la prima in linea, con un attacco da lontano — nella tappa che terminava a Limone Piemonte — coronato da un piccolo capolavoro sull’ultima salita; la seconda a cronometro, da Chieri a Torino, mentre più indietro fra gli uomini di classifica Paolo Savoldelli dava la legnata finale a Simoni racimolando un vantaggio tale da consentirgli di resistere agli attacchi del trentino nella tappa del Colle delle Finestre.

Due vittorie con cui Ivan Basso mantenne la promessa fatta a tutti, da Bjarne Riis ai suoi tifosi, e con cui soprattutto dava ai suoi avversari e al mondo del ciclismo un nuovo appuntamento per l’anno successivo. Sempre sulle strade della Corsa Rosa che sarebbe dovuta essere il primo traguardo di uno storico tentativo di doppietta Giro-Tour ma che si concluse in maniera imprevedibile alla vigilia della partenza della Grande Boucle da Strasburgo.

(Photo credit: Bettini)

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Scrittore disorientato. Ho due grandi passioni: il ciclismo e la Fiorentina.